Una canzone per Lev



Vratar' (Il portiere)
Vladimir Vysockij
1971


Allo stadio 'Lenin' di Mosca, il 27 maggio 1971, Lev Ivanovič Jašin dà l'addio all'erba verde dei campi. Gioca per un'ora ancora, tra i pali della sua Dinamo, contro una selezione di grandi stelle del calcio mondiale. L'evento fu epocale, "celebrato con la solennità di cui era capace la collaudatissima macchina organizzativa sovietica, e rappresentò per il comune cittadino sovietico un evento straordinario. Non a caso Vladimir Vysockij (1938-1980), il più nazional-popolare (nel senso gramsciano del termine) fra i grandi poeti russi del XX secolo, per l’occasione dedicò a Jašin, che non conosceva personalmente, una nuova canzone, intitolata Il portiere (Vratar’). In uno dei suoi concerti, Vysockij introdusse la canzone raccontando che avrebbe dovuto interpretarla alla presenza di Jašin durante una trasmissione televisiva, ma gli era stato vietato. Il fatto non stupisce: pur essendo negli Anni Settanta il personaggio più noto e amato in Unione Sovietica (solo il cosmonauta Jurij Gagarin godeva di una popolarità paragonabile alla sua), Vysockij non comparve mai, neppure per un secondo, sugli schermi della televisione nazionale sovietica, se escludiamo i film in cui figurava in qualità di attore. Il testo di Il portiere non ha nulla di celebrativo, e non contiene riferimenti diretti alla biografia sportiva di Lev Jašin. Come accade per tutte le canzoni di Vysockij di argomento sportivo, ha un tono umoristico: costruito come una piccola rappresentazione teatrale i cui personaggi sono un portiere capace di respingere regolarmente tiri imparabili (in questo ricorda Jašin) e un fotografo che, appostato dietro la sua porta, cerca in ogni modo di persuaderlo a lasciarsi segnare una rete, dandogli così finalmente la possibilità di scattare una fotografia significativa e rara. Nella variante iniziale del testo, nella quinta strofa, al posto di “ragazzo” (“paren’”), compariva “Lëva”, diminutivo di Lev, nome di Jašin. La genesi di questa canzone è narrata, con il supporto di suggestive immagini d’epoca, nel cortometraggio “Vratar’. Istorija pesni”, realizzato nel 2011 dal documentarista Oleg Vasin" (M. A. Curletto - R. Lupi, Jašin. Vita di un portiere, p. 165).

Audio | Documentario

Il portiere

Sì, oggi mi sento un leone, proprio un leone.
Estasiati, i moscoviti urlano a squarciagola,
Senza impaccio blocco in presa i cross
E svento tiri imparabili.
L’arbitro fischia un rigore contro gli avversari.
Uno sciame di fotografi brulica dietro la loro porta.
Alle mie spalle invece solo un fotografo, si annoia a morte,
Oggi per lui è giornata di riposo!
Chiedo scusa,
un attaccante colpisce di testa…
Devio
In calcio d’angolo.
Batte il numero dieci.
Con la sua “foglia morta”
È capace di far crollare le difese.
Ma il pallone vola tra le mie mani – le tribune impazziscono,
Il numero dieci gli ha dato un bell’effetto.
Ma è da un bel po’ che tiri così non mi sorprendono.
Come? Alle mie spalle si leva un sospiro soffocato.
Mi volto – si leva una voce da dietro le fotocamere:
“Ehi ragazzo, scusa, ma mi hai rovinato un’altra foto.
Perché devi sempre arrivare con quelle mani sul pallone –
Lasciami fare la foto di un bel gol!
Stavo per mandarlo a quel paese
Ma non ce l’ho fatta:
Ho dovuto parare un altro tiro,
E c’è voluta tutta.
Ma appena mi alzo
Sento di nuovo: “Ecco, un’altra volta!
Tu le prendi tutte e io non posso fare il mio lavoro!”
“Caro compagno, la capisco benissimo,
E glielo dico con educazione: se ne vada!
Certo, per lei è meglio se paro male,
Ma mi creda, in questo non la posso proprio aiutare.”
S’invola il numero nove, il suo tiro è una cannonata.
Il fotografo mormora: “Dai, lascialo segnare!
Ti fotografo gratis per tutta la vita, te e famiglia…”
Me lo chiede quasi in lacrime. Cosa devo fare?!
“Qui si gioca a calcio, -
Gli rispondo”.
Per un portiere ogni gol
È una coltellata al cuore.”
“A te che sei il portiere
Regalerò la foto migliore.
Lascialo segnare, non te ne pentirai!”
Pressato dal fotografo, mi piego come un ramo,
Vado indeciso sul pallone…
Chiederò di nascosto ai compagni
Di rompergli la macchina fotografica.
Ma lui continua a piagnucolare: “Amico, abbi pietà.
Puoi prenderla, certo… Però, scusami,
Sarebbe una parata tra tante, la foto invece rimane per sempre.
Dai, stai fermo, non scattare!”
Il numero cinque, a ventidue anni
Già famoso,
Non corre, a stento
Si trascina.
E il pallone, fischiando, nell’angolo destro,
Cioè alla mia sinistra,
Vola e si insacca beffardo.
Avevamo il vento a sfavore,
Non ho potuto farci niente…
Adesso a casa ho una foto di due metri per tre,
Come ricordo dell’onta subita.
Maledico l’attimo in cui ho dato ascolto al fotografo.
Perché ora, ogni volta che faccio una parata, penso:
Quante belle foto ho rovinato!
E vi sembrerà strano, ma mi sento in colpa.

(Traduzione di M. A. Curletto)